intervista a cura di Carlo Silvano
SOAZZA (Grigioni italiano) – Dopo aver riletto un’intervista che padre Marco Flecchia mi ha rilasciato nel 2009 sulla sua attività di parroco nelle due valli italofone della Mesolcina e della Calanca, è sorto il desiderio di tornare a parlare – a undici anni di distanza – di alcuni argomenti particolari, come l’identità socio-religiosa, l’associazionismo laicale e lo spopolamento della Val Calanca. La precedente intervista è reperibile cliccando all’indirizzo Intervista a a padre Marco Flecchia e le foto proposte in questo articolo riguardano Soazza e sono state gentilmente offerte da padre Marco.
Don Marco, nel 2009 nel corso di un’intervista che mi ha rilasciato, Lei affermava che il cattolicesimo rappresentava un carattere significativo della realtà delle Valli Mesolcina e Calanca. Dopo undici anni, ritornando su questo argomento, quali osservazioni si sente di proporre?
Si può affermare grosso modo la stessa realtà di allora, pur tenuto conto del cambio di generazione, nel senso che molti anziani di allora adesso sono morti, ma hanno lasciato ricordi indelebili nell’animo di molti giovani. Mi impressiona il fatto che buona parte della gioventù conserva nella mente i ricordi del passato. La Storia non è solo un susseguirsi di immagini fotografiche o parole ripetute. La Storia, almeno per molti, è la ricerca della mentalità degli avi ed il tentativo di incarnarla oggi. A questo contribuisce il Corona virus, che ha fatto riflettere molti, giovani e anziani, soprattutto riguardo al tema della morte – pensiamo, ad esempio, i defunti nella solitudine - e più ancora il tema della fragilità della vita.
A parte la fede cattolica, quali sono – a suo avviso – gli altri collanti delle comunità delle due valli?
Certamente i ritrovi pubblici e le feste o sagre paesane al primo posto come numero dei partecipanti. In questo tempo di Virus la sospensione delle manifestazioni ha segnato la vita in questo senso. Bisogna sottolineare, però, che anche le biblioteche di paese sono sempre maggiormente frequentate e sono un indizio valido. Anche le molte conferenze e presentazioni di pubblicazioni e concerti riscuotono un crescente successo. Per contro è in diminuzione l’interesse verso la res publica - politica in senso lato -, eccezion fatta per le elezioni dei sindaci ed autorità comunali. Ma anche qui, passato il fervore del primo giorno, l’ambiente ritorna ad una specie di monotonia rassegnata, salvo i pochi addetti ai lavori.
E la scuola?
E’ un collante nel senso che sono sempre meno le sedi scolastiche in ogni villaggio, a favore della concentrazione in istituti più grandi. Ma questo ha aspetti buoni, con maggiori possibilità e mezzi, e meno buoni se si pensa alla perdita di identità dei villaggi.
(il trenino di Soazza nel 1972)
Nelle due Valli si registrano altri credi religiosi?
Ci sono alcuni protestanti. Si tratta di famiglie immigrate dal nord, cioè dalla zona tedesca. Ci sono anche alcuni musulmani, ma il loro esiguo numero non provoca conflitti. Piuttosto ci sono molti cattolici di nascita che abbandonano la pratica religiosa, salvo poi farla rinascere in occasione di matrimoni, battesimi, cresime, prime comunioni e, soprattutto, nei funerali si risveglia la mai sopita fede. Il Coronavirus è stata la dimostrazione che “non tutto il male viene per nuocere”.
Nel 2009, parlando dei giovani, Lei ha affermato che “frequentano poco, ma hanno un interesse crescente”. E oggi?
Io trovo che laddove si mantiene un contatto vivo da parte del clero con i giovani che pure non frequentano la chiesa, si ottengono buoni frutti di apertura reciproca, amicizia, collaborazione e solidarietà nei casi bisognosi nel corpo e nello spirito. Personalmente cerco sempre di seguire la gioventù, compresi i non praticanti ed il risultato è una collaborazione sempre possibile e molto positiva per la società nel suo insieme.
L’associazionismo laicale nelle comunità parrocchiali che lei conosce da vicino, registra una ripresa in questi ultimi anni sia per quanto riguarda le adesioni e la qualità degli incontri promossi e organizzati?
Una buona rinascita si deve al catechista interparrocchiale, un buon laico che ha fatto aumentare il numero di giovani presenti alle sue iniziative di incontri extrascolastici, gite e festicciole.
Undici anni fa si parlava dello spopolamento della Valle Calanca…
La Valle Calanca prosegue nello spopolamento, oggi un po’ meno rapido, grazie ad alcune famiglie giovani (poche) che decidono di accasarsi e rimanere in Valle, anche se per lavoro si spostano verso i centri principali.
Ritorniamo a parlare dei collanti sociali: secondo lei, oggi, quale figura o modello potrebbe rappresentare per tutta la Mesolcina un simbolo di unità ed una speranza per il futuro delle varie comunità locali?
In mancanza di riferimenti politici fanno attrazione insegnanti e medici. Qualche volta anche i sacerdoti. Ma in generale non si cercano figure carismatiche. Forse non è l’epoca adatta. Oppure mancano le persone forti che in passato erano punti di riferimento per tutti a causa del carisma personale.
Don Marco, lei guida la comunità cattolica di Soazza dal 1982: può descrivere l’emozione che ha provato appena ha assunto la responsabilità di parroco?
Molta emozione, soprattutto nell’incontro personale con tutte le persone, dai più piccoli agli anziani. Quasi subito si è creata un’atmosfera di famiglia. Ricordo il piccolo “trucco” iniziale, ma valido tuttora, che è l’incontro della gente nei ritrovi pubblici, bar e ristoranti. Questo consente da subito un colloquio con tutti, nessuno escluso. Anche se non tutti frequentano i locali pubblici, almeno uno o due per famiglia si incontrano. Attraverso questi si raggiungono tutti.
(altare nella chiesa parrocchiale di Soazza)
Nei primi anni Ottanta la parrocchia di Soazza come si presentava sotto il profilo religioso?
Allora c’erano molte più persone testimoni di una tradizionale pratica intensa e frequente, che ora sono venute a mancare. Ma di pari passo con l’evolversi dei tempi si assiste ad un recupero delle tradizioni locali, paesane ed anche religiose, nelle feste e nelle ricorrenze. Non si tratta, in genere, di nostalgia. Ma di ricupero di valori sociali antichi, quasi eterni. Anche qui il Virus sta giocando la sua parte. A questo contribuisce però anche la sempre crescente passione per lo studio della Storia, generale e locale, che fa presa anche su molti giovani. In questa è compresa anche la storia religiosa delle comunità.
Qual è il pregio che particolarmente caratterizza i suoi fedeli e che lei apprezza?
Proprio questo rinascente gusto per la Storia accresce la consapevolezza di se stessi come individui e come società. Questo, unito alla meditazione del Vangelo, più o meno insita nei cuori, facilita anche la composizione degli inevitabili litigi e incomprensioni umane.
Nel libro intitolato “Questa valle” della scrittrice ticinese Anna Gnesa (1904 – 1986) c’è un brano che mi ha particolarmente colpito ed è il seguente: ‹‹Dove gli serviva, il verzaschese ha lasciato la roccia naturale, il masso trovato sul posto, a far da scalino, da lastra del pavimento, da rinforzo delle fondamenta. C’è perfino una casa, e non antica, murata addosso a un blocco enorme che fa da parete: tanto che la pietra originaria scura, scabra, costituisce un intero lato della cucina dentro cui sporge obliqua. In cima al blocco fu portata un po’ di terra e ora in un orticino di due palmi crescono i fagioli, e i phlox violetti e i sancarlini bianchi guardano giù come fossero i rododendri o ginepri d’in cima a una rupe. Il brav’uomo che costruì la dimora pensava soltanto a fabbricarla solida, risparmiando materiale: in realtà espresse, con un simbolo smagliante, più che l’adesione, la fraternità del verzaschese con la sua montagna›› (p. 25). Queste righe Anna Gnesa le ha scritte per gli abitanti della Val Verzasca delle passate generazioni. Le chiedo se questo “carattere”, questa adesione e fraternità tra l’uomo e la sua montagna, lei lo ha riscontrato anche negli abitanti della val Mesolcina e val Calanca e quali sono, al riguardo, le sue riflessioni?
Si trovano molti punti in comune tra Verzasca e Mesolcina riguardo al mondo prettamente agricolo dei secoli passati. Entrambe le Valli sono vissute per secoli attorno alle rocce. I pascoli estivi provocavano una sorta di nomadismo sopravvissuto fini a poco tempo fa. L’emigrazione stagionale era una regola per molti. In particolare, desidero sottolineare la storia dei piccoli spazzacamini, che partivano in autunno dalla Verzasca e anche dalla Mesolcina per lavorare in Austria, Germania ma in special modo a Milano e a Torino. Fra i primi ragazzi di don Bosco si trovano Verzaschesi e Mesolcinesi, come anche quelli provenienti dalla Valle Vigezzo, altra Valle che ha dato molti piccoli spazzacamini (dai 6 anni ai 12-14). Partivano da famiglie affamate e tornavano a casa con pochi sudati soldi. Un mondo tutto da scoprire e ricordare!
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Padre Marco Flecchia (1950) è stato ordinato sacerdote nel 1977 e dal 1982 è parroco di Soazza.
Carlo Silvano (1966) cura alcuni blog ed è autore di diversi libri. Per consultare un elenco delle ultime pubblicazioni cliccare su Libri di Carlo Silvano
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