Considero “Il bambino e l'avvoltoio” un reportage nell’anima. Un viaggio attento, analitico e mai distaccato nelle pieghe della coscienza, sempre alla ricerca di una luce anche in fondo all'abisso.
È un reportage fatto di storie vere, vere anche quando si presentano come la riscrittura, la reinterpretazione simbolica di vicende vissute. Vicende reali e realistiche, come è vero e reale George ne “L'angelo di via Appiani”, che crede negli angeli, ma è la reinterpretazione della tragica storia di Frank, avvocato ghanese, catapultato in Italia come migliaia di altri, in attesa di continuare a sognare di rientrare nel proprio Paese, ma anche costretti a fare i conti, i pochi fortunati, con la difficoltà di riadattarsi al ritorno nella loro terra di origine.
C'è amarezza anche nella storia di Ledion, il ventitreenne albanese, “Il cerchio di ghisa”, anche lui venuto in Italia a bordo di un gommone, su quei mezzi di fortuna che fanno sbarcare anche tante donne costrette a pagare con il corpo il prezzo di poter trovare un posto da vivere, perché è questa la dura legge, maledetta legge del “chi può, paga; chi non può...”. E quale prospettiva di ricostruire una vita possono davvero trovare tutti coloro che devono per forza accettare un “alloggio” rimediato alla meglio, che razza di casa può essere quella in cui il solaio scricchiola ad ogni passo. Eppure, per Ledion e tanti altri si può finalmente immaginare di cominciare ad essere felici “di avere un lavoro e (...) anche una casa con acqua corrente e calda, con la luce e il televisore e nel frigo una buona birra”. Ma poi... poi, ci sarà una curva, un platano, lo schianto...
Come è strana la vita, ma soprattutto come appare delicata, vulnerabile, ma anche bella nella sua poesia: “Il rosso dell’acero” è come un idillio, una parentesi di speranza viva che Marco e Sabrina ci fanno assaporare, a partire dalla semplice ricchezza e dal mistero che ogni goccia d'acqua racconta nel suo percorso dalla sorgente al mare; oppure, la fantastica narrazione de “Il segreto di Helga”, trasportati per incanto come in una appassionante fiaba islandese.
Ma c'è la realtà cruda in agguato: “Il distacco” è la dolorosa confessione di Mohamed combattuto tra il giusto significato da dare ai concetti di eguaglianza formale e sostanziale della nostra Costituzione e l'inevitabile confronto con la sua storia familiare (poligamia paterna) e le troppe morti, i troppi cadaveri visti nelle inutili guerre e che ormai non lo impressionano più, perché è così che si perde il senso della morte e, purtroppo, anche della vita.
Alla fine, ma a dire il vero è anche il punto di ritorno alle origini del libro perché è un altro modo per raccontare la copertina, “Il bambino e l'avvoltoio” ricapitola il senso di questo breve, ma intenso viaggio: il monito a guardare avanti, lasciarsi interrogare dalle domande essenziali di un mondo affamato di pane e di verità e giustizia e ascoltare la voce dei dimenticati di questa terra, ai quali abbiamo rubato il futuro, lasciandoli magari soli in balia degli avvoltoi di ogni tipo a barattare bricioli di speranza. (Gennaro Piccolo – Cercola)
Carlo Silvano, "Il bambino e l'avvoltoio e altri racconti", ed. Youcanprint 2020, pp. 80. Per ulteriori informazioni cliccare su: "Il bambino e l'avvoltoio" di Carlo Silvano
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