Da Luigi Giovannini (Villorba - Treviso) ricevo e propongo questo post su un libro dello scrittore elvetico Giovanni Orelli.
Giovanni Orelli ebbe i suoi natali a Bedretto in Svizzera nel 1928. Studiò a Zurigo e poi a Milano. Conseguì la laurea in filosofia medioevale ed umanistica. Insegnò nel liceo cantonale di Lugano e fu collaboratore del settimanale “Politica nuova”. Ottenne diversi premi letterari e si schierò politicamente nel partito socialista ricoprendo il seggio di deputato al Gran Consiglio del Canton Ticino per una legislatura. La sua carriera letteraria ebbe inizio nel 1965 con il libro “L’anno della valanga”, vincitore del premio "Veillon". Assieme alle numerose opere che gli sono attribuite e che lo hanno elevato al livello di ottimo prosatore, viene ricordato anche per aver percorso la strada poetica sia con opere in italiano che nel dialetto di Bedretto. Questo antico borgo da il nome all’omonima valle dalla quale, attraverso un sentiero, si accede al passo di San Giacomo nella val Formazza in Italia. La storia dello stato svizzero è ricca di episodi di movimenti franosi e di valanghe. A tal proposito furono improntate nel tempo diverse opere di protezione nelle valli più esposte. Nonostante questo si verificarono comunque episodi di slittamenti di masse nevose che furono causa di danni ingenti e spesso luttuosi. Uno di questi accadde nell’inverno 1950-51 ed ispirò l’opera letteraria di Giovanni Orelli “L’anno della valanga”. Con l’esordio di quest’opera Orelli si impose decisamente come scrittore nello scenario della letteratura svizzera.
Il quarantennio successivo vide una sua feconda attività nei settori della saggistica, narrativa e poesia che lo affiancarono alla sua professione di insegnante a Lugano. In questo suo saggio c’è la descrizione in contemporanea di un fatto naturale col racconto di uno metaforico della valanga, che fu causa di elemento di rottura degli schemi quotidiani di trascorrere le giornate in quella comunità montana. L’opera si compone di diversi racconti che si ispirano alla vita che scorre in un paese di contadini, nel cuore delle Alpi, durante un lungo inverno e sotto la minaccia della valanga. I personaggi del libro vengono fatti vivere, come in un palcoscenico con le loro storie fatte di momenti di gioia improvvisi e di paure collettive. Si ha l’impressione di percepire la presenza di tanti orecchi tesi ad ascoltare i tanti rumori e scricchiolii dell’ambiente circostante compresi quelli dei desideri amorosi dei protagonisti. L’attrice per eccellenza comunque, rimane la neve che ricopre tutto, piante, case e la montagna. Una neve farinosa e leggera che si accumula lentamente, nel silenzio di quei luoghi, e si posa sulle piante curvando i rami di abeti e larici e trasformando la radura in una nuvola di soffice candore. La descrizione dell’alternarsi delle precipitazioni nevose a momenti di tregua, si accosta ad una magica composizione pittorica dove l’artista, con sapienti pennellate, dà colore a questo incantato scenario. Il volteggiare ora lento ed ora veloce della neve e lo scendere dei suoi fiocchi portati dal vento, che odora di bagnato, davanti alle porte di casa e dietro i vetri delle finestre, richiamano ritmi di melodie fantasiose. Ed i suoni si personificano nel buio delle lunghe e fredde notti e vengono percepiti ovattati dando l’impressione di provenire da luoghi lontani ed imprecisati. Le persone della borgata, colte nel loro quotidiano, assumono atteggiamenti e comportamenti che lasciano intravedere preoccupazione ed insicurezza di un incerto domani.
[Luigi Giovannini (a sx) e don Pietro Zardo]
Lo scrittore coglie e traduce con maestria tutti questi moti dell’animo e li fa rivivere nei suoi personaggi. Essi si chiamano Vanda, Dionigi, Verena, Linda, Mariangela ed altri ancora e su tutti aleggia un sentimento di paura che riempie le loro giornate e riaffiora nei quotidiani discorsi. Giovanni Orelli scrive di questa comunità montana e contadina, dei loro lavori, costumi e tradizioni mettendo in contrapposizione il presente ed il passato, i momenti della preghiera e quelli del gioco e del ritrovarsi per vincere la solitudine e scacciare la paura. Ed è proprio per favorire un reciproco aiuto con la vicinanza che viene accolto con gioia l’invito governativo ad occupare le abitazioni poste al centro del paese. Anche gli umori delle persone sembrano subire l’altalenio delle precipitazioni. Alla senzazione di pace che può trasmettere la contemplazione di quel paesaggio alpino si contrappongono momenti di abbandono e di sfiducia in un incerto domani ed altri di dolcezza e d’amore. Nel cogliere i quadretti agresti con gli animali, sia raccontando delle gatte in calore che si lisciano il pelo strofinandosi sulla neve fresca che osservando le vacche sdraiate nella stalla a ridosso della greppia come per il vitellino ed i capretti del Dionigi, lo scrittore da loro un tocco di poesia . I rumori della stalla e quelli della cucina, col passare dei giorni, diventano familiari come quelli del torrente ed il tichettare dell’orologio. Il silenzio che tutto abbraccia, dalla montagna che sovrasta il paesaggio con la sua sinistra sagoma alla borgata assopita nella silenziosa notte, viene improvvisamente rotto dal boato di una valanga. Il suo sordo rumore pure attutito dal manto nevoso fa sobbalzare tutta la comunità gettandola nello scompiglio e nella disperazione. Si consuma in una manciata di ore il dramma annunciato. Il paese , il giorno dopo, si presenta tutto livellato sotto la coltre nevosa mostrando la sua solitudine e le sue ferite mentre squadre di salvataggio scavano cunicoli in verticale nella disperata ricerca di superstiti intrappolati nelle case franate sotto la neve compatta. Al dolore di chi piange i propri morti si contrappone l’eccitazione dei sopravissuti che smaniano di muoversi colmi di improvvisa vitalità. Lo scampato pericolo eccita gli animi degli uomini che si ritrovano all’osteria a consumare vino e caffè ed intonare canzoni al suono di un organetto marcando il tempo con le scarpe chiodate. Col riaffacciarsi del sole l’antico borgo ritrova per un momento una parentesi di speranza.
[Luigi Giovannini e Arrigo Petacco]
Questa storia drammatica si avvia alla sua conclusione con la decisione governativa di evacuare il paese e mentre le fazioni dei favorevoli e dei contrari si confrontano ognuno con le proprie ragioni giunge l’esercito con i cavalli ed i soldati . Il racconto di questo fatto di cronaca ha il suo epilogo con la partenza in una lunga fila che raccoglie persone del borgo ed animali nella stradina che si snoda in discesa verso la stazione ferroviaria ed i paesi di destinazione.
Giovanni Orelli ebbe i suoi natali a Bedretto in Svizzera nel 1928. Studiò a Zurigo e poi a Milano. Conseguì la laurea in filosofia medioevale ed umanistica. Insegnò nel liceo cantonale di Lugano e fu collaboratore del settimanale “Politica nuova”. Ottenne diversi premi letterari e si schierò politicamente nel partito socialista ricoprendo il seggio di deputato al Gran Consiglio del Canton Ticino per una legislatura. La sua carriera letteraria ebbe inizio nel 1965 con il libro “L’anno della valanga”, vincitore del premio "Veillon". Assieme alle numerose opere che gli sono attribuite e che lo hanno elevato al livello di ottimo prosatore, viene ricordato anche per aver percorso la strada poetica sia con opere in italiano che nel dialetto di Bedretto. Questo antico borgo da il nome all’omonima valle dalla quale, attraverso un sentiero, si accede al passo di San Giacomo nella val Formazza in Italia. La storia dello stato svizzero è ricca di episodi di movimenti franosi e di valanghe. A tal proposito furono improntate nel tempo diverse opere di protezione nelle valli più esposte. Nonostante questo si verificarono comunque episodi di slittamenti di masse nevose che furono causa di danni ingenti e spesso luttuosi. Uno di questi accadde nell’inverno 1950-51 ed ispirò l’opera letteraria di Giovanni Orelli “L’anno della valanga”. Con l’esordio di quest’opera Orelli si impose decisamente come scrittore nello scenario della letteratura svizzera.
Il quarantennio successivo vide una sua feconda attività nei settori della saggistica, narrativa e poesia che lo affiancarono alla sua professione di insegnante a Lugano. In questo suo saggio c’è la descrizione in contemporanea di un fatto naturale col racconto di uno metaforico della valanga, che fu causa di elemento di rottura degli schemi quotidiani di trascorrere le giornate in quella comunità montana. L’opera si compone di diversi racconti che si ispirano alla vita che scorre in un paese di contadini, nel cuore delle Alpi, durante un lungo inverno e sotto la minaccia della valanga. I personaggi del libro vengono fatti vivere, come in un palcoscenico con le loro storie fatte di momenti di gioia improvvisi e di paure collettive. Si ha l’impressione di percepire la presenza di tanti orecchi tesi ad ascoltare i tanti rumori e scricchiolii dell’ambiente circostante compresi quelli dei desideri amorosi dei protagonisti. L’attrice per eccellenza comunque, rimane la neve che ricopre tutto, piante, case e la montagna. Una neve farinosa e leggera che si accumula lentamente, nel silenzio di quei luoghi, e si posa sulle piante curvando i rami di abeti e larici e trasformando la radura in una nuvola di soffice candore. La descrizione dell’alternarsi delle precipitazioni nevose a momenti di tregua, si accosta ad una magica composizione pittorica dove l’artista, con sapienti pennellate, dà colore a questo incantato scenario. Il volteggiare ora lento ed ora veloce della neve e lo scendere dei suoi fiocchi portati dal vento, che odora di bagnato, davanti alle porte di casa e dietro i vetri delle finestre, richiamano ritmi di melodie fantasiose. Ed i suoni si personificano nel buio delle lunghe e fredde notti e vengono percepiti ovattati dando l’impressione di provenire da luoghi lontani ed imprecisati. Le persone della borgata, colte nel loro quotidiano, assumono atteggiamenti e comportamenti che lasciano intravedere preoccupazione ed insicurezza di un incerto domani.
[Luigi Giovannini (a sx) e don Pietro Zardo]
Lo scrittore coglie e traduce con maestria tutti questi moti dell’animo e li fa rivivere nei suoi personaggi. Essi si chiamano Vanda, Dionigi, Verena, Linda, Mariangela ed altri ancora e su tutti aleggia un sentimento di paura che riempie le loro giornate e riaffiora nei quotidiani discorsi. Giovanni Orelli scrive di questa comunità montana e contadina, dei loro lavori, costumi e tradizioni mettendo in contrapposizione il presente ed il passato, i momenti della preghiera e quelli del gioco e del ritrovarsi per vincere la solitudine e scacciare la paura. Ed è proprio per favorire un reciproco aiuto con la vicinanza che viene accolto con gioia l’invito governativo ad occupare le abitazioni poste al centro del paese. Anche gli umori delle persone sembrano subire l’altalenio delle precipitazioni. Alla senzazione di pace che può trasmettere la contemplazione di quel paesaggio alpino si contrappongono momenti di abbandono e di sfiducia in un incerto domani ed altri di dolcezza e d’amore. Nel cogliere i quadretti agresti con gli animali, sia raccontando delle gatte in calore che si lisciano il pelo strofinandosi sulla neve fresca che osservando le vacche sdraiate nella stalla a ridosso della greppia come per il vitellino ed i capretti del Dionigi, lo scrittore da loro un tocco di poesia . I rumori della stalla e quelli della cucina, col passare dei giorni, diventano familiari come quelli del torrente ed il tichettare dell’orologio. Il silenzio che tutto abbraccia, dalla montagna che sovrasta il paesaggio con la sua sinistra sagoma alla borgata assopita nella silenziosa notte, viene improvvisamente rotto dal boato di una valanga. Il suo sordo rumore pure attutito dal manto nevoso fa sobbalzare tutta la comunità gettandola nello scompiglio e nella disperazione. Si consuma in una manciata di ore il dramma annunciato. Il paese , il giorno dopo, si presenta tutto livellato sotto la coltre nevosa mostrando la sua solitudine e le sue ferite mentre squadre di salvataggio scavano cunicoli in verticale nella disperata ricerca di superstiti intrappolati nelle case franate sotto la neve compatta. Al dolore di chi piange i propri morti si contrappone l’eccitazione dei sopravissuti che smaniano di muoversi colmi di improvvisa vitalità. Lo scampato pericolo eccita gli animi degli uomini che si ritrovano all’osteria a consumare vino e caffè ed intonare canzoni al suono di un organetto marcando il tempo con le scarpe chiodate. Col riaffacciarsi del sole l’antico borgo ritrova per un momento una parentesi di speranza.
[Luigi Giovannini e Arrigo Petacco]
Questa storia drammatica si avvia alla sua conclusione con la decisione governativa di evacuare il paese e mentre le fazioni dei favorevoli e dei contrari si confrontano ognuno con le proprie ragioni giunge l’esercito con i cavalli ed i soldati . Il racconto di questo fatto di cronaca ha il suo epilogo con la partenza in una lunga fila che raccoglie persone del borgo ed animali nella stradina che si snoda in discesa verso la stazione ferroviaria ed i paesi di destinazione.
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